7 marzo 2018 – CDT

Inizio dalla questione finanziaria. Il credito richiesto per la sperimentazione è di 6,7 milioni, pare che occorrano 100 milioni di spesa iniziale e poi 34,5 milioni all’anno. Sono cifre ragguardevoli. Recentemente a un dibattito televisivo tutti hanno dichiarato che la scuola ticinese è una buona scuola.

Possibile che per migliorare una scuola già buona occorrano così tanti soldi? Non basterebbe solo qualche modifica dal costo contenuto?

Si controbatte dicendo che il Ticino non spende molto per la scuola e che investire nella formazione sia buona cosa. È vero, ma non dimentichiamo che il motivo principale per cui spendiamo meno di altri è perché gli stipendi dei docenti, che costituiscono la quasi totalità delle uscite per la scuola, in Ticino sono (molto) più bassi che nella maggior parte degli altri cantoni. Non trascuriamo, inoltre, che spendere di più non significa necessariamente ottenere risultati migliori.

La domanda finale riguardo alla questione finanziaria: per avere una scuola (forse) migliore, è giusto lasciare (sicuramente) ai nostri figli un mucchio di debiti in più?

Al recente dibattito alla RSI qualcuno ha affermato che il Gran Consiglio voterà su un progetto con molte incognite.

In effetti ci sono parecchi lati oscuri che andavano chiariti prima di passare alla sperimentazione. Per esempio non si sa chi sarà incaricato della valutazione della sperimentazione e quanto costerà. Non si sa quali saranno i criteri che verranno presi in considerazione per la valutazione. Non si sa quali saranno i criteri di ammissione al medio superiore. Non ho addirittura mai sentito parlare dei criteri di ammissione alle scuole professionali (ma questo è «normale» perché il settore professionale è sempre stato considerato di serie B nonostante la maggior parte degli allievi che terminano la scuola obbligatoria frequentino poi una scuola professionale). Non mi sembra che sia mai stato detto quanto costerà in più la manutenzione, le pulizie, il riscaldamento eccetera delle nuove aule necessarie. Di solito, poi, prima di mettere in pratica quanto sperimentato, si va a vedere il risultato ottenuto. Nel nostro caso si dovrebbe, fra l’altro, vedere se gli allievi che hanno sperimentato la Scuola che verrà sono preparati per proseguire gli studi in una scuola del medio superiore, in una scuola professionale a tempo pieno o se sono pronti ad affrontare un apprendistato. Mi chiedo come ciò sarà possibile. Infatti, alla fine dei tre anni di sperimentazione, solo un’annata di studenti avrà già affrontato il primo anno di post-obbligatorio. Le altre due avranno solo terminato la terza o la quarta media.

Due sole scuole medie sperimenteranno la versione DECS e due la versione PLR; statisticamente è molto discutibile se il campione è sufficientemente rappresentativo per trarre conclusioni. Se poi volessimo confrontare i risultati alla fine della prima liceo fra coloro che hanno fatto la sperimentazione con coloro che non l’hanno frequentata, il campione si riduce del 60% (oltre tutto diviso in due poiché le sperimentazioni sono due); morale: non conviene neppure fare il confronto perché, statisticamente, non avrebbe alcun senso. Addirittura impossibile sarebbe poi andare a fare confronti nel settore professionale dove gli allievi usciti dalle medie si suddividono fra scuole professionali a tempo pieno e un centinaio di professioni varie dell’apprendistato.

Come si farà a fare valutazioni con campioni insignificanti dal punto di vista statistico? Ancora un particolare: gli allievi che inizieranno la sperimentazione in terza media (e che saranno gli unici i cui risultati post scuola obbligatoria si potrà tentare di confrontare), in realtà, avranno sperimentato solo una parte del percorso de «La Scuola che verrà», poiché parecchie delle didattiche che prevede il progetto, iniziano già alle elementari e nel primo biennio di scuola media. A maggior ragione, quindi, vale quanto ho spiegato prima riguardo all’insensatezza statistica della valutazione che verrà fatta.

Potrei continuare a lungo con le perplessità entrando anche nel merito dei contenuti. Mi limito ancora solo ad un fatto. Per una parte delle attività le classi verrebbero divise a metà. Se in una scuola media ci sono quattro classi di un’annata con 76-80 studenti, ne risulteranno 19-20 per classe. Dividendo la classe a metà, si otterranno due mezze classi di 9-10 allievi! Faccio un po’ fatica a capire come sia necessario avere una classe di 9 allievi per riuscire a insegnare quello che nel resto della Svizzera insegnano, con successo, in classi di 20-25 allievi e con gli stessi costi (non ho cifre sottomano, ma una classe costa almeno 250.000 franchi all’anno, indipendentemente dal numero degli allievi). Come facevo io e chi mi ha preceduto a insegnare matematica a una classe di 30-35-40 allievi? Come mai nel professionale, per mantenere, comunque, a 25 il numero degli allievi di una classe, si spostano studenti e apprendisti «in eccedenza» da una sede all’altra, mentre per far stare in piedi «La Scuola che verrà» vengono divise a metà classi di 20 allievi? Non si potrebbero fare due classi di 13-14 apprendisti, invece che due di 9-10 per la Scuola che verrà? Già, ma il professionale è di serie B!

Spero sinceramente che il Gran Consiglio rigetti la richiesta di credito e che si ripensi tutto da zero.

Edo Pellegrini, Presidente UDF Ticino