4 dicembre 2012 – CDT

Sul «Corriere del Ticino» del 28 novembre, il consigliere nazionale Marco Romano spiega perché si oppone all’elezione del Consiglio federale da parte del popolo, come chiede l’iniziativa UDC, e negli scorsi giorni le Camere hanno detto no ad un Esecutivo di 9 membri. Per coloro che vorrebbero un rappresentante italofono permanente in Consiglio federale i tempi sono grami. Romano spiega perché con l’elezione popolare la nostra rivendicazione sarebbe ancora più problematica.
Resta il fatto che, allo stato attuale delle cose, da 13 anni non c’è un ministro proveniente dalla Svizzera italiana. La proposta dell’aumento a 9 del numero dei consiglieri federali arrivava dal Ticino; in questo modo si sperava che, aumentando il numero, aumentasse anche la probabilità di avere permanentemente un ministro proveniente dalla Svizzera italiana.
Quel che mi sembra di capire è che ai vertici nazionali dei partiti e ai parlamentari non interessa molto la nostra rivendicazione. E allora? Resterebbe la possibilità dell’iniziativa popolare per risolvere la questione, ma chi se la sente di lanciarla ben sapendo che il popolo potrebbe votare no e che nemmeno un Consiglio federale a 9 garantirebbe la presenza di un italofono nella stanza dei bottoni?
Ogni qualvolta si deve eleggere un ministro, a ben guardare, il Parlamento disattende in modo evidente l’esigenza espressa in modo piuttosto chiaro dal capoverso 4 dell’articolo 175 della Costituzione federale che recita: «Le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese devono essere equamente rappresentate».
L’art. 70 della Costituzione definisce lingue ufficiali il tedesco, il francese e l’italiano.
Senza la minoranza italofona la Svizzera non sarebbe quell’esempio di democrazia e di federalismo e quel crogiolo di lingue, culture e religioni diverse che è, e che vuole continuare ad essere.
«Le componenti linguistiche del Paese devono essere equamente rappresentate»; se «equamente» deve significare « proporzionalmente», allora la Svizzera italiana sarà (quasi) sempre tagliata fuori dai giochi (anche se, per la verità, gli italofoni che abitano la Svizzera sono ben più numerosi dei soli ticinesi e abitanti del Grigioni italiano).
Se, invece, come certamente è lo spirito della Costituzione, significa che anche le minoranze linguistiche devono essere rappresentate, allora ci dovrebbe sempre essere un italofono in Consiglio federale.
Ma così non è per chiara volontà del Parlamento. Dal punto di vista dell’UDF Ticino, quindi, c’è una sola soluzione che risolve una volta per tutte il problema.
Occorre aggiungere un capoverso del seguente tenore all’art. 175 della Costituzione: «È in ogni caso garantita la rappresentanza della Svizzera di lingua italiana».
Per modificare la Costituzione occorre il voto del popolo e, in base a quanto detto in precedenza, l’unica soluzione è il lancio di un’iniziativa popolare; vorrei poi vedere con quali arrampicate sui vetri dovrebbero confrontarsi Parlamento e partiti di governo per opporvisi.
L’UDF Ticino non è certamente in grado da sola di raccogliere 100’000 firme; però, se qualcuno fosse disposto a darci una mano, potremmo anche provarci.

Edo Pellegrini, Presidente UDF Ticino